VENEZIA - Da oltre mezzo secolo è un rompicapo per i giocatori e per i matematici, con i suoi 43 trilioni di possibili permutazioni. Ma da qualche tempo il cubo di Rubik, da molti considerato il giocattolo più venduto della storia, è diventato un enigma anche per i giuristi: fino a che punto può essere liberamente riprodotto? L’ultima risposta sul tema arriva da una sentenza pubblicata nei giorni scorsi, che fa valere il principio affermato in primavera dal Tribunale di Venezia, malgrado il verdetto emesso tre settimane fa dalla Corte di giustizia dell’Unione europea: anche se è stata annullata la registrazione del marchio in sede comunitaria, il poliedro “magico” può godere della tutela del diritto d’autore come «opera dell’ingegno».
I colori
Il pronunciamento reso noto in questi giorni proviene dalla Cassazione, che ha rigettato il ricorso della cinese Junyu Wu contro la condanna rimediata a Roma, per aver «riprodotto o posto in vendita 21 cubi di Rubik» (oltre che «63.054 stickers per bambini riproducenti i personaggi di Walt Disney»). La difesa della 43enne ha richiamato la giurisprudenza europea, che il 9 luglio aveva negato la protezione del cubo inventato dall’architetto ungherese Ernő Rubik nel 1974. I giudici di Lussemburgo si erano espressi sul contenzioso che dal 2013 vedeva fronteggiarsi Verdes Innovations e Spin Master Toys.
L’azienda greca chiedeva che venissero annullati i marchi europei detenuti dal colosso canadese, e depositati tra il 2008 e il 2012 all'Ufficio dell'Unione europea per la proprietà intellettuale (Euipo), riguardanti in particolare le tinte dei lati: rosso, verde, blu, arancione, giallo e bianco. «I sei colori specifici posti sulle facce del cubo e la loro presunta "disposizione specifica" – aveva però argomentato il Tribunale europeo – non costituiscono una caratteristica essenziale dei marchi contestati. Infatti, tali elementi hanno importanza minore e secondaria rispetto alla forma del cubo, alla struttura a griglia e alla differenziazione delle facce del cubo, che sono invece le caratteristiche essenziali dei marchi. I sei colori basici rispondono semplicemente alla funzione di distinguere le facce del cubo per un effetto di contrasto».
Su questa base, la Cassazione ha stabilito che «la riconosciuta impossibilità di registrare il marchio tridimensionale del cubo con le sei facce di quei determinati colori non esclude che, ai fini del reato contestato, si tratti di un’opera d’ingegno come tale protetta dal diritto di autore». A questo proposito, la Suprema Corte ha ricordato che il 30 aprile la Sezione specializzata in materia di impresa del Tribunale di Venezia aveva accordato in fase cautelare la protezione del cubo come opera di design industriale, precisando che «la tutela penale non è condizionata al marchio o al brevetto, ma all’opera di ingegno come frutto della capacità creativa».
I requisiti
I giudici lagunari erano stati chiamati a dirimere la causa intentata da Spin Master Toys, il gigante canadese titolare dei diritti di sfruttamento economico sul puzzle tridimensionale, qualificato come opera di disegno industriale, nei confronti della ditta veneta che produce il “cubo Teorema”, ritenuto troppo simile. Con un’ordinanza che può essere appellata in secondo grado, il Tribunale ne aveva vietato la vendita, riscontrando nell’originale di 51 anni fa la presenza di requisiti quali il carattere creativo e il valore artistico richiesti dalla legge sul diritto d’autore. Infatti quel rompicapo è esposto al MoMa di New York, è magnificato all’interno di pubblicazioni prestigiose ed è riconosciuto come un simbolo degli anni ‘80.
Questa valutazione ha acceso il dibattito fra gli addetti ai lavori, in quanto si tratta di un criterio tutto italiano, non previsto dalla normativa europea. Comunque sia, questa è stata la concatenazione dei verdetti, per cui almeno per il momento in Italia prevale la protezione del cubo di Rubik decisa a Venezia.