Non passano inosservate le 170mila case non abitate del Friuli Venezia Giulia, perché rappresentano il 23% del patrimonio edilizio della regione e, pur con differenze territoriali, sono diffuse in tutto il territorio.
LA POPOLAZIONE
È l’effetto di una molteplicità di fattori, che hanno a che fare con il calo demografico, con lo spopolamento costante di alcune aree geografiche – dalla Carnia alle Valli del Natisone -, ma anche con famiglie meno numerose che, quindi, necessitano di spazi più contenuti e con fenomeni culturali che generano una certa reticenza a dare in affitto la casa di proprietà. Un’analisi che scaturisce dall’esperienza sul campo, oltreché dall’osservazione dei dati, degli stessi vertici di Fiaip regionale, com’è il presidente della sezione della provincia di Udine, Luca Macoratti. Se le case vuote sono complessivamente il 23% - la differenza fra le 738mila censite e le 568mila occupate -, la provincia di Udine contribuisce a costruire tale percentuale con un nutrito 27%, seguita da quella di Pordenone con il 20,7% e di Gorizia con il 20 per cento. Trieste è fanalino di coda ma, comunque, con un 17,5% di stabili non occupati.
IL CASO DELLA CARNIA
«È una percentuale importante quella di Udine, ma che si riferisce a un territorio più vasto della regione e con una forte presenza di aree montane – legge il presidente Macoratti -. Le zone più svantaggiate sono note e, quindi non può stupire che in certi luoghi, come la Carnia dove si arriva a oltre il 50%, il fenomeno sia ben presente. Inoltre, occorre dire che vi sono alcuni immobili che non hanno più mercato: le tipiche grandi case friulane che si trovano lunghe le vie nei centri dei paesi, per esempio, appartengono a questa fascia. Negli anni economicamente più brillanti erano acquistate dalle imprese edili che le riqualificavano e frazionavano, ma ora ciò accade molto più di rado o non accade proprio». Macoratti evidenzia poi che il fenomeno è molto più contenuto nella città di Udine (15%) e nei paesi limitrofi, dove si scende al 14 per cento. Aree dove il mercato c’è e dove, quindi, ci potrebbero essere delle leve da attivare per rendere fruibili gli immobili sfitti.
L’INCUBO MOROSITÀ
«Poiché diversi proprietari sono reticenti ad affittare perché temono la morosità, si potrebbe agire con contratti più flessibili o a cosiddetto “titolo esecutivo”, una tipologia contrattuale che consente il recesso se il locatario non paga». In ogni caso, vi sono anche proprietari che «in questo periodo non vendono perché non hanno chiaro come investire al meglio i proventi e preferiscono mantenere lo stabile». Anche se alle 170mila unità vuote si sottraggono le stimate 70mila case vacanza, che restano chiuse per diverso tempo l’anno pur essendo fruite dai proprietari, il numero che resta, 100mila, rende l’idea di un territorio in cui ci sono processi di concentrazione della popolazione.
IL CASO PORDENONE
Da Pordenone lo osserva il presidente dell’Uppi di Pordenone, Ladislao Kowalski: «Ci sono delle zone in cui vi è una concentrazione di popolazione e di richiesta di abitazioni, penso per esempio a Rauscedo e dintorni, dove è importante il numero delle persone impiegate nei vivai. Altre zone, come quelle montane, pur avendo case ristrutturate e ben tenute, sono un deserto». Uppi Pn ha commissionato una propria ricerca, dalla quale è emerso che su 166mila 773 abitazioni censite in tutta la provincia di Pordenone ce ne sono 33.223 vuote: il 12,50% a Pordenone, tra il 10 e l’11 per cento a Porcia e Azzano Decimo. Man mano che si sale verso la pedemontana sale anche la percentuale: 17% a Spilimbergo e 19% a Maniago.