PADOVA - La parola d'ordine è non abbassare la guardia. Perché anche se nel territorio padovano non ci sono situazioni emergenziali, potrebbero però verificarsi, e con conseguenze devastanti. Influenza aviaria, contenimento dei cinghiali (la cui presenza è correlata alla diffusione delle peste suina africana) e degli ibis (uccelli selvatici non autoctoni vettori proprio dell'aviaria) e consumo di latte crudo o di formaggi che lo contengono (che possono causare infezioni intestinali da escherichia coli pericolosissime per i bambini sotto i 5 anni) sono stati al centro di un approfondimento fatto ieri (17 febbraio) a Palazzo Santo Stefano, sede della Provincia, durante il quale Vincenzo Gottardo, consigliere delegato all'agricoltura, e Antonia Ricci, direttore generale dell'Istituto Zooprofilattico delle Venezie, hanno fatto il punto sulla situazione da ottobre a oggi e sulle strategie di prevenzione dei focolai che mettono in pericolo la salute dei capi presenti negli allevamenti, ma pure dell'uomo e di altri animali, compresi quelli d'affezione.
I rischi dell'aviaria
È partita proprio da qui la disamina della stessa Ricci, la quale ha ricordato che negli ultimi 4 mesi e mezzo in Italia sono stati individuati 56 focolai di aviaria (24 nel Veneto, ma nessuno a Padova) nel pollame e 95 tra gli uccelli selvatici, e nelle scorse settimane pure quattro positività tra i mammiferi, due volpi (a Brescia e a Pordenone) e due gatti (a Bologna), di cui uno è morto per complicanze respiratorie: vivevano vicino a un pollaio dove era in corso un'epidemia.
«Siamo verso la fine della stagione a rischio - ha osservato - e possiamo stare abbastanza tranquilli. Certo, la metà dei casi si è registrata nel Veneto, ma è normale data la massiccia popolazione avicola presente. A Padova siamo riusciti a controllare i contagi, grazie alle misure di profilassi diretta, come la biosicurezza applicata dagli allevatori, e con verifiche a tappeto dei veterinari dell'Ulss».
«I nostri ricercatori, intanto, hanno partecipato a uno studio sulle 34 mutazioni genetiche che potrebbero aumentare il trasferimento all'uomo del virus. È una malattia che non elimineremo a causa dei cambiamenti climatici e di quelli degli uccelli migratori, ma riusciamo monitorarla, dopo i casi drammatici del 2021 e del 2022». «Per esempio - ha proseguito il direttore dell'Izsve - gli ibis si stanno moltiplicando nel nostro territorio, sia lungo i corsi d'acqua, vedi il Piovego, che nei campi: come i granchi blu sono una specie aliena che provoca tantissimi danni, in primis il fatto che veicolano il virus dell'influenza aviaria. Vanno trovate quindi strategie di contenimento. Il danno di un focolaio di un grosso allevamento di galline ovaiole può raggiungere i 3 milioni di euro, e tre anni fa in totale si è arrivati a 120 milioni, quasi tutti a carico di aziende venete».