VENEZIA - Siamo all’alba delle cento “alzate” del Mose, e se i numeri vogliono dire qualcosa il dato non può certo passare inosservato. Era il 3 ottobre del 2020 quando le paratie del “Modulo Sperimentale Elettromeccanico” si sollevarono per la prima volta, mentre dietro le mascherine - in piena epoca Covid - tutti trattenevano il fiato: da allora in poco più di quattro anni il conteggio è lievitato appunto a 99 volte, poco meno quindi di 25 volte all’anno (quando in origine gli esperti ipotizzavano 5-10 chiusure della laguna nell’arco di 12 mesi).
Oggi come noto il bestione viene sollevato quando l’acqua alta tocca quota 110 sullo zero mareografico di Punta della Salute, e ogni alzata è una “botta” da poco meno di 200mila euro. Di prospettive, utilità nel tempo soprattutto in relazione ai cambiamenti climatici, danni evitati e molto altro ancora ha parlato l’altra sera a Mestre - su invito della Fondazione Mestre Domani presieduta dall’avvocato Ugo Ticozzi - il professor Antonio Marcomini, ordinario di Chimica ambientale a Ca’ Foscari (università della quale è attualmente prorettore vicario) che ha toccato buona parte dei temi sui quali a Venezia spesso ci si accapiglia, perchè il Mose è sempre stato argomento divisivo e a tavola meglio non parlarne per evitare feroci discussioni.
E dunque Marcomini ha sottolineato inanzitutto che il Mose ha svolto “egregiamente” la sua opera. «Certo si è perso tempo nella progettazione e nella realizzazione, con i problemi di cui sappiamo. Ma ora penso tutti siano convinti che il Mose serve eccome e che preserva effettivamente la città, tantopiù con l’alzata fissata a 110 centimetri. Per quanto tempo “servirà” il Mose? Lo scenario è complicato e condizionato da molti fattori, ma possiamo ragionevolmente ipotizzare che difenderà Venezia e la laguna per altri cinquant’anni».