PADOVA - L’Università di Padova non rinnoverà gli accordi con gli atenei israeliani e non ne firmerà altri. La decisione è stata presa all’unanimità dal Senato accademico, indignato per il perpetuarsi delle azioni militari nella Striscia di Gaza e in Palestina.
La decisione
Decisiva è stata la situazione nella Striscia di Gaza, dove la continua violazione del diritto internazionale ha scosso le coscienze dell’accademia. Giusto qualche settimana fa il Consiglio di Dipartimento di Scienze politiche aveva rotto il silenzio del Bo, chiedendo alla governance di prendere posizione ed interrompere i rapporti con le università di Israele. Richiesta accolta a Palazzo Bo, con un testo che cita apertamente la «occupazione illegale del territorio palestinese» e il «perpetrarsi delle gravissime violazioni del diritto internazionale». A spiegare le ragione della mozione è la stessa rettrice Daniela Mapelli: «Rimaniamo fermamente convinti di quanto la cultura possa costruire ponti e un linguaggio comune di pace - dichiara -, per questo motivo confermiamo i progetti accademici che coinvolgono ricercatrici e ricercatori con omologhi di università israeliane. Progetti che hanno valenza esclusiva di didattica e ricerca e che sono coerenti con il Codice di integrità della ricerca del nostro ateneo. Allo stesso tempo, però, sospendiamo la stipula di nuovi accordi internazionali con enti ed istituzioni israeliane che contribuiscano, in qualsiasi modo, a porre in essere delle sistematiche violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani».
Le reazioni
Accolgono con soddisfazione la notizia gli studenti di Udu Padova, con il rappresentante in Senato Marco Nimis che però ora avanza nuove richieste, perché il risultato ancora non è pienamente raggiunto: «È triste pensare che siano serviti più di 50.000 morti per attivare la nostra università in questo modo. Lo stesso peso etico che l'università sente nel non avviare nuovi accordi deve essere applicato anche a quelli già in vigore. Mantenere questi accordi significa legittimare enti accademici che sostengono in modo più o meno diretto un genocidio».