TREVISO Da un lato il costo degli affitti dei negozi - dentro le mura difficile scendere dai sotto ai 2.500 euro al mese per i locali più piccoli con picchi di 4mila euro e più in Calmaggiore e vie limitrofe - dall’altro quello del personale: in mezzo ci sono i commercianti che tentano di lavorare e, in molti casi, di sopravvivere. I mali che affliggono il commercio cittadino sono tanti e ridurli alla solo questione “affitti dorati” è riduttivo: lo dice un imprenditore come Enrico Barcè, titolare di tre attività commerciali a ridosso di piazza Borsa, e lo ribadisce anche Federico Capraro, presidente del Mandamento di Treviso dell’Ascom: «Il passaggio di Enrico Barcè è condivisibile. Il tema del caro affitti è uno dei temi, ce ne sono altri». Ed elenca: «Negli ultimi 2-3 anni è enormemente aumentato il costo del personale. E poi il calo dei fatturati dovuto ai consumi che stanno diminuendo perché c’è una diversa propensione alla spesa in diversi settori e perchè c’è una diversa disponibilità economica, un flusso di quotidianità che manca, un target di visitatori della città che è diverso rispetto a quelli cui si rivolgono i negozi: sono tutti temi che stanno incidendo in questa situazione. Credo che un problema complesso vada affrontato prendendo in considerazione più aspetti e sicuramente ci vuole spinta, coraggio e visione». Tanti i temi sul piatto, tanti i fronti aperti per ribadire il concetto che non esistono soluzioni semplici a problemi complessi.
I CANONI
Ma torniamo agli affitti, il capitolo comunque più doloroso. La mappa della città è eloquente: Calmaggiore, Corso del Popolo e via XX Settembre, si confermano zone off limits per chiunque non sia una grande catena. Due esempi: un negozio di 50 metri quadrati nel cuore del centro storico viene affittato a circa 60mila euro l’anno, ovvero 5mila al mese. E sono quei locali destinati a restare chiusi, perché considerati troppo piccoli e costosi e poco remunerativi. Per gli spazi dai cento metri quadrati in su i canoni richiesti raddoppiano: si va da 120mila euro a salire. Sephora, che da poco ha aperto a ridosso di piazza dei Signori, si dice che paghi 250mila euro l’anno di affitto: il più alto di tutto il centro. La Pescheria è un’altra zona di pregio, più dedicata alla ristorazione e con prezzi che si stanno avvicinando a quelli del trilatero d’oro. Usciti da questa fascia il costo a metro quadro cala: in zona stazione, che grazie ai lavori di riqualificazione sta salendo nella considerazione degli investitori, un metro quadro viene affittato ancora a 800 euro l’anno. Tradotto in spazi: un locale di 50 metri quadrati vale attorno a 3mila euro al mese, che scendono spesso a 2.500.
LA DISCUSSIONE
«Gli affitti non sono il vero problema - ribadisce Paolo Zatta, consulente commerciale che tratta da sempre con i grandi marchi - i proprietari ormai sono più che disponibili ad andare incontro alle esigenze, soprattutto di fronte a progetti validi. Ormai si vedono sconti sugli affitti anche del 30%. L’ostacolo vero è il costo del personale, inutile girarci attorno: il 50% dei negozi che chiudono è perché non reggono più questi costi, l’altro 50% chiude perché invece personale non ne trova. Poi ci sono gli altri problemi, come la necessità di richiamare clienti: outlet e centri commerciali sono molto competitivi per i grandi brand che ospitano e tolgono potenziali clienti alla città. Il negozio del centro deve quindi evolversi, tornare a proporre prodotti di qualità, mirati. Io dico che sempre che mi piacerebbe rivedere le botteghe del pane, le macellerie e le gastronomie di qualità rivist però con i canoni della modernità». Conclude infine Capraro allargando l’orizzonte: «Bisogna intervenire sulle politiche attive della città, costruita con un’offerta commerciale basata su un mercato che oggi è cambiato. Probabilmente vanno riviste anche alcune formule contrattuali d’affitto che non è detto che rispondano più sia alle esigenze dei proprietari che dei titolari dei negozi. La taratura dei valori dei canoni devono sì rispondere al valore immobiliare del negozio, ma anche a quello della sostenibilità commerciale».